31 gennaio 2019

Green Book


Green Book, di Peter Farrelly, 2018

La commedia con i numeri giusti. Per competere con Roma e La favorita.




Golden Globe per Mahershala Ali , attore non protagonista.
Golden Globe per la sceneggiatura.
Golden Globe come miglior film commedia o musical.
5 nominations agli Oscars.

1962. Da una storia vera , il viaggio da New York giù nel Deep South , oltre la Mason-Dixie line, fino in Alabama,  per il tour di un talentuoso musicista nero accompagnato da un rozzo autista/bodyguard bianco.  The Negro Motorist Green Book alla mano (libercolo effettivamente esistito) per evitare "fastidi" : dove può alloggiare un "colored" , dove non può viaggiare di notte un "colored", dove può esibirsi ma non mangiare un "colored" e varie altre amenità razziste. 

"Doc" Shirley è un pianista virtuoso diplomato al conservatorio. Colto , poliglotta, raffinato, dignitoso e snob. Ha suonato alla Casa Bianca e non avrebbe alcun ragionevole motivo di inoltrarsi nel Deep South per ottenere applausi e guadagni che potrebbe più agevolmente ottenere altrove ,risparmiandosi offese razziste. Ma ha un ideale coraggioso e un dolore nascosto.

Tony "Lip" è un buttafuori italo-americano del Bronx, abile a menare le mani, a mangiare una pizza intera e una pila di hamburgers in due bocconi , logorroico (anche in dialetto calabrese), ignorante e rozzo ma svelto a cavarsela negli ambienti equivoci e pericolosi che  procurano il pane quotidiano a lui e alla sua numerosa famiglia. È anche mediamente razzista e non sempre onesto. Almeno all'inizio del film. 

Ecco qua, la commedia è servita con momenti divertenti ed eventi amari, corredata del prevedibile messaggio eticamente e socialmente "corretto", proposto però in modo coinvolgente ed efficace, per niente didattico/didascalico.




Durante il viaggio il rapporto fra i due rappresenterà simbolicamente un esempio di conoscenza e di accettazione umana reciproca , un'ideale percorso di integrazione positiva nel grande melting pot nord-americano.

Tutto sommato sarebbe solo una bella storia commovente, spassosa, educativa con i suoi momenti drammatici, ben girata e sceneggiata. Di quelle che piacciono a tutti. Un bel film mainstream acchiappa-audience, con tanto di finale natalizio dickensiano.

E in tal senso funziona, innegabilmente. Accontenta ed incanta le sale americane ed europee. Qualche pignolo della critica storce un pò il naso parlando di clichè e stereotipi, di scarsa originalità.  
L'obiezione non è del tutto infondata ma di fatto gli eventuali difetti non pesano, la visione è piacevole e il gradimento vola alto sia su Rotten Tomatoes che IMBd e soprattutto in sala dove sta andando bene ed è quello che conta.

Con un bel Golden Globe per il sempre bravo Mahershala Ali , un'altro per la sceneggiatura e un prestigioso terzo Globo per miglior film commedia  Green Book parte decisamente bene. E tranquilli che non è finita qui.  Ha ben 5 nominations agli Oscar, anche nelle categorie più ambite e non uscirà a mani vuote.




Il fatto veramente rilevante è che ci sono due attori di grande intelligenza , perizia e talento che da soli fanno tutto il film e donano spessore ad una sceneggiatura che da sola forse non avrebbe ottenuto il Globo. Viggo Mortensen dimostra ancora una volta di essere attore di gran razza . Quanto avrebbe meritato il Globo al posto di C. Bale ! (ok, ok, sono un pò parziale). 

Anche solo per loro due, consiglio di non perdere questo film. 

Green Book scorre bene, ben calibrato e senza sbavature,  coi due attori che brillano ed impreziosiscono il tutto. Non so se sia il miglior film quest'anno. La concorrenza c'è.

Viggo Mortensen recita da Oscar. Non è la prima volta. 
Io gli avrei consegnato l' Oscar già nel 2009 per The Road.
Ma io sono fan di Mortensen e forse esagero, fate voi.
Sarebbe ora di  riconoscergli una statuetta. Suvvia, dai.

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P.S. post-premiazione : wow statuetta al miglior film !
Fin anche troppo. Scippato a Roma.
Green Book è un film dei buoni sentimenti , per fortuna non scade troppo nel buonismo facile. 
Forse un modo di fare #Oscarsoblack senza sbilanciarsi verso il troppo politicizzato BlackKlansman nè premiare il cinefumettone Black Panther che, siamo seri, non doveva neanche esserci fra i nove. 
È piacevole Green Book, ha un messaggio di pacificazione razziale e forse è stato "sentito" dall'Academy come la giusta via di mezzo. Chissà.
A Viggo niente, peccato. 

30 gennaio 2019

The wife


The wife, di Björn Runge, 2018



Se sarà Oscar per Glenn Close sarà un riconoscimento alla carriera di questa ottima attrice più che un premio per l'interpretazione in The wife.

Beninteso , anche qui la Close è brava perché di recitar male non le riesce , l'esperienza non è acqua e il suo volto è un'icona amatissima dal pubblico.

Brava anche perchè la sceneggiatura è poca cosa. Pryce si spende ma non eccelle, gli attori che interpretano i protagonisti da giovani non pervengono emotivamente al pubblico.


Le espressioni di Glenn Close invece "bucano" lo schermo , come spesso accade con lei sul set, e coinvolgono senza dubbio, complici anche i frequenti primi piani.



D'altronde il dramma nascosto , il sacrificio femminile è suo , della moglie nell'ombra , custode di un segreto che solo un giornalista interessato e petulante (Slater) sembra aver intuito e vorrebbe divulgare.


La sceneggiatura non originale è tratta da un testo letterario a me sconosciuto. 
Ed è intrisecamente debole

Ci chiede di considerare i tempi in cui la sottomissione della protagonista inizia , inzio anni 60, tempi in cui una donna che scrive non aveva le stesse possibilità di successo rispetto ad un uomo scrittore. Ci crediamo ma non riusciamo a scordarci che ,proveniente da un paese patriarcale e retrogrado come l'Italia , Grazia Deledda vinse il Nobel nel 1926.



Ci chiede di comprendere la frustrazione e il dolore della protagonista alla cerimonia di premiazione del Nobel negli anni 90. 
Ci immergiamo negli sguardi e negli umori di Glenn Close e le crediamo perché l'attrice è nella parte con tutto il suo carisma.
Ma non possiamo fare a meno di chiederci quanto valga questo malumore tardivo e cmq. auto-censurato e abilmente nascosto : la "timida" moglie è stranamente ben tosta nel dissuadere e perfino minacciare il giornalista in cerca di scoop. 

Le dinamiche che portano ad anni ed anni di sottomissione e silenzio (mancanza di autostima? ) sarebbero da inviduare nel passato. Ma ben poco ci aiutano i flashback che ci porgono l'immagine di un professore carismatico ed egocentrico di contro all'allieva innamorata ed intimidita , soprattutto dalla caustica esternazione della scrittrice fallita ed amareggiata.
Ci sforziamo di crederci ma il tutto sembra insufficiente a giustificare un sacrificio lungo una vita.

Concludo con una considerazione personale: ogni anno Oscar e Golden Globe sembrano sempre occupati ad apparire "politically correct" con nominations che istituiscono artificiose "quote" : quota "afro-american", quota "gay friendly" , quota "rosa".

Se , per caso, questa nomination a miglior attrice significasse "quota rosa" , con il ritratto della "donna di talento nell'ombra" allora mi vien da rispondere a gran voce che era meglio Tully con una grande interpretazione di Charlize Theron sulla sceneggiatura consistente, bellissima, di Diablo Cody.
Quella sì avrebbe rappresentato una storia al femminile attuale ed intensa.
Nessuna nomination invece.

Forse davvero è solo un riconoscimento a Glenn Close , che l'Oscar non l'ha vinto mai. E chissà che lo vinca la Colman invece, per il roboante La favorita che sta impazzando con le sue (immeritate) 10 nominations. Che beffa per la Close, in quel caso. Dovrà attendere un Oscar alla carriera, povera lei.


29 gennaio 2019

A girl walks home alone at night

A girl walks home alone at night di Ana Lily Amirpour, 2014

L'horror come piace a me.




In tutto sei personaggi e un gatto.
Rugginose trivelle petrolifere, una squallida centrale elettrica , pochi edifici fatiscenti , notte, strade deserte e lampioni.






Bad city potrebbe essere ovunque, con i suoi abitanti sbandati e mal in arnese. È in Iran ci dice la regista e in effetti c'è una ragazza col chador. Indossato in modo per niente tradizionale, cammina da sola di notte ed è pericolosa.




Raffinato, elegante, suggestivo, poetico con un pizzico d'ironia, questo esordio alla regia colpisce con i suoi tanti silenzi e altrettante scene perfette. Per citarne una , quella della mimica a specchio fra il vecchio e la ragazza ai lati opposti della strada mal illuminata.
E quello skateboard spiazzante.




Bianco e nero azzeccato ed atmosfere decadenti create con poco e proprio per questo magistrali. Colonna sonora interessante.
Per me , un piccolo gioiello da recuperare o rivedere assolutamente.


 

24 gennaio 2019

La favorita


La favorita, di Yorgos Lanthimos, 2018


Roboante. Ben 10 nominations agli Oscar.

E' tornato il beniamino dei festivals del cinema autoriale.
Qualcuno deve avergli detto che con il metafisico-surreale (The lobster, Il cervo sacro) non si conquista sufficientemente il botteghino. Eccolo dunque approdato al film storico. Separatosi dal consueto co-sceneggiatore Filippou trova una sceneggiatura azzardata , una bizzarra farsa storica.

Stranezze e fascinazione per il grottesco fine a se stesso imperversano , tanto per (non) cambiare.
Inquadrature grandangolari  e fish-eye cercano di catturare l'occhio dello spettatore anche se non è chiaro cosa dovrebbero sottolineare. 




Un'aristocrazia impegnata nelle corse delle oche con lo stesso cervello che ci mette a far guerra alla Francia.
Un triangolo di potere femminile in salsa lesbo . Questa la ricetta furbetta che forse convincerà anche le giurie degli Oscars , dopo i trionfi a Venezia e ai Golden Globes.
Donne provate dalla vita e donne forti , donne alle prese con giochi di potere : così la faccenda suona "quota rosa", in qualche modo.




L'intento di Lanthimos è sempre e solo quello di stupire e farsi notare, a qualunque costo. Dopo il cinema d'elìte ora è il turno delle sale mainstream. Con la Favorita vincerà il jackpot.


Ma anche questa volta è gran fumo e poco arrosto. 
Questa volta lascia Colin Farrel per tre attrici di tutto rispetto . La Colman (vincitrice del Golden Globe), la Weisz ed Emma Stone.
Tutte oggettivamente brave.
Purtroppo riesce a sprecarle tutte e tre impegnandole in personaggi estremizzati ed improbabili.


Lanthimos è sopravvalutato , al solito, e anche nella Favorita non si smentisce : confezione pomposa e intrigante ma dentro la scatola c'è il nulla. O meglio, c'è solo lo snob , egocentrico Lanthimos stesso. Niente sopresa.


Un improbabile linguaggio odierno infarcito di parolacce dovrebbe convincere che siamo nel 700 (la v.o. lascia attoniti).
Donne che sparano in pantaloni, s'infilano nel letto della regina ,comandano senza troppa difficoltà uomini e partiti politici. Decisamente sembra di essere nel 700. Davvero convincente. Mah !

Bei costumi ma nessuna credibile caratterizzazione dei personaggi.
Buone scenografìe , forse un pò barocche (più 1600 che 1700) ma visivamente accattivanti. 
Fotografìa accurata ma troppo funzionale all'eccentrico.




Di Anne regina , lady Sarah e Abigail (quelle storicamente esistite) non v'è traccia : a Lanthimos non interessa affatto la storia : si tratta solo dell'ennesima declinazione della solita, furba auto-promozione del suo cinema pretenzioso. Poco artistico e tanto vuoto.

Non vedo miglioramenti nel cinema di Lanthimos. Di nuovo c'è l'occhio al botteghino , che evidentemente paga. 
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https://cinemadipatrizia.blogspot.com/2018/01/il-sacrificio-del-cervo-sacro.html
Il sacrificio del cervo sacro




19 gennaio 2019

Escape at Dannemora


Escape at Dannemora , di Ben Stiller, 2018. Miniserie , 2 nominations ai Golden Globes. Golden Globe per Patricia Arquette.


Ben Stiller come non l'abbiamo mai visto prima. Alla regia di un progetto drammatico scevro di qualsivoglia vis comica o ironica che tanto ha caratterizzato lo Stiller attore o regista.

Qui Stiller svolta con decisione e coraggio verso un prodotto impegnato ed impegnativo lavorando in modo meticoloso, serissimo e concentrato.

Da un fatto di cronaca che ebbe larga copertura mediatica nel 2015 : l'evasione di due carcerati dal penitenziario di massima sicurezza Clinton Correctional Facility , Dannemora, N.Y e i seguenti 20 gg di latitanza e "caccia all'uomo".

C'e apprezzabile sforzo di aderenza alla realtà dei fatti coniugata ad uno studio psicologico approfondito dei tre personaggi principali .

Il ritratto dei tre villains è un capolavoro di ambiguità ed ambivalenze , un mix di contrasti che spiazzano lo spettatore senza scampo: umana debolezza, malvagità , umanissimi sogni e speranze, degrado morale , comportamenti comprensibili di contro a motivazioni meschine e bassezze gratuite , disperazione e stupidità.

Ogni qual volta sceneggiatura e regia ci inducono in un attimo di comprensione ed empatìa verso gli sbandati protagonisti ecco che immediatamente ci viene imposto il rovescio della medaglia e piombiamo nello stato d'animo opposto : ci risultano odiosissimi , imperdonabili e a tratti incomprensibili (Tilly in particolar modo).

Patricia Arquette (Tilly) è fisicamente irriconoscibile sia grazie al geniale trucco/parrucco/imbolsimento che alle magistrali riprese che sottolineano in ogni inquadratura tutto e il contrario di tutto : frustrazione e noia, stupidità, ingenuità , egocentrismo , vittimismo, istinto di sopravvivenza, umana fragilità, infantilismo , sogni di libertà e diabolica superficialità.
Una girandola frenetica di sensazioni contrastanti che lascia senza fiato lo spettatore . La odiamo, la disprezziamo, ci fa pena, la perdoniamo perchè è stupida , la condanniamo perchè è meschina senza pentimento.
Di certo ci incolla allo schermo con l'urgenza di trovare un senso al suo comportamento.
Si guadagna un meritatissimo Golden Globe per l'interpretazione. Il suo personaggio è sostenuto dalla regia di Stiller attentissimo ai dettagli.


Paul Dano e l'ineffabile Benicio del Toro non deludono un attimo. I due carcerati sono bastardi senza gloria e ci sentiamo quasi in colpa di trovarci a parteggiare per loro , di augurarci che l'evasione vada a buon fine. Vorremmo tanto che l'episodio di flashback non ci raccontasse nulla dei loro crimini con aggravante di crudeltà gratuita . Ben Stiller (e la buona sceneggiatura) ci induce a voler vedere l'artista in Matt e l'ingegnoso "creativo" in David. Ci tenta a bypassare il resto. Per poi farci sbattere il naso con l'ineluttabile , crudissima brutalità della loro natura.


Ben Stiller è una vera sorpresa in positivo. Talento ed intelligenza caratterizzano questa prova alla regia. Personalmente mi auguro di vedere ancora Stiller impegnato in questa direzione , inedita quanto promettente.

La critica ha evidenziato un difetto nell'eccesso di tempo della narrazione e nel passo a tratti troppo lento di alcune riprese e scene un pò troppo minuziose, forse inutili.
Probabilmente è vero. Credo che sia un difetto perdonabile , perchè in un certo senso questo è un "esordio" per Stiller in un genere che finora non sembrava il suo.

14 gennaio 2019

A very English Scandal

A Very English Scandal , Stephen Frears ,2018



Tre nominations ai Golden Globes. A Ben Wishaw il Globe come miglior attore non protagonista in una miniserie.
Frears ritorna sferzante, critico e capace di black humor molto British con una mini-serie di ottima qualità ispirata allo scandalo del deputato liberale Thorpe negli anni '60 .
Frears riesce a rendere la vicenda attuale mescolando paradosso e ironia puntuta con gran equilibrio ed efficacia.


 
Attori in stato di grazia (ma che bravo il diabolico Hugh Grant ! Ce ne eravamo dimenticati) diretti con mano sicura , comprimari compresi. 



Quest'anno ai Golden Globes mi convincono , per qualità, più le miniserie che i films .
A very English Scandal , Patrick Melrose, Sharp Objects e Escape at Dannemora sono piacevolissime sorprese. Alto livello , ottimi registi ed interpreti. 4 vere "chicche" da non perdere. Capaci di avvincere un pubblico trasversale , cinefili "esigenti" compresi.


10 gennaio 2019

Vice , l'uomo nell'ombra

Vice-l'uomo nell'ombra, di Adam McKay, 2018



Pseudo-didattico e faziosissimo . Sceneggiatura che procede a colpi di singhiozzo nevrotico. Continui tentativi di satira che vanno puntualmente a vuoto. I titoli di coda a metà film forse l'unico momento riuscito, in questo senso.

Perfetto per alimentare climi da isterìa hater in masse poco pensanti in cerca di una causa unica per tutti i mali del mondo : c'è bisogno di qualcuno da incolpare di tutto, ma proprio tutto. Un demone avido di potere e senza scrupoli capace persino di sopravvivere rubando (letteralmente) il cuore di everyman, la voce narrante, per un trapianto al volo.
Dick Chaney che  "grazie a Satana" (sic. nel discorso alla premiazione) ha fatto vincere il Golden Globe a Christian Bale.

Da rimpiangere i docu-films di Michael Moore, politicamente schierati in modo netto e perentorio. Avevano un punto di vista unilaterale ma erano almeno ben documentati e miravano a motivare tale punto di vista.
Dopo la visione potevi nutrire qualche dubbio, provare a cercare un'informazione alternativa se non eri del tutto convinto. Certo non potevi dire che Moore non ti aveva spiegato un bel nulla.

Qui tutto è dato per scontato. Il demonio ha corna e zoccoli e non c'è bisogno d'altro per riconoscerlo. Nè di ragionarci troppo sopra. Il ritmo della narrazione è inutilmente frenetico, pesantemente caustico e costantemente iperbolico. Non c'è bisogno di riflettere o indurre alla riflessione. Niente dibattito o processo : dritti dritti alla sentenza a furor di popolo. 




Raccontare un greve ed intricato periodo della storia U.S.A (e mondiale) , l'11 -09-2001 , la guerra in Iraq e in Afghanistan,  Guantanamo, le leggi sulla detassazione dei capitali, l'incapace presidenza Bush jr.  e tanto altro , declinando tutto quanto in una sola ossessiva causa devastante , Dick Cheney/Mazzarino/Belzebù e poche marionette da lui pilotate o azzittite, è davvero troppo ,troppo semplicistico . Anzi è peggio : Adam McKay, ideatore sceneggiatore e regista, tratta il pubblico come una massa d'idioti .

Vice è l'equivalente cinematografico di un tweet trollone ,rabbioso e decerebrato, che mira a sollevare indignazione e attenzione (soprattutto per se stesso) piuttosto che focalizzarsi su reali problemi e criticare , fare satira politica in modo mirato.





R.T. = 62% critica, 58% audience;  IMBd = 7,1/10



6 gennaio 2019

Suburbicon


Suburbicon , di George Clooney , 2017

R.T. =28%  IMDb =5,6/10 


 
Non raggiunse la sufficienza secondo Imdb e venne seccamente stroncato da Rotten Tomatoes. Influenzata da questo scarso gradimento , lo evitai in sala all'uscita.
Uscito in home video su Sky ,decido di dargli ora una chance.

La sceneggiatura dei Coen, rivista con George Clooney, contiene molti ingredienti tipici dei caustici fratelli.
Nella linda e perbenista Suburbicon , cittadina per soli bianchi negli anni 50, si trasferisce una famiglia afro-americana. 




Nella villetta a fianco, la famiglia Lodge , bianca borghese ed episcopale , nasconde brutti segreti.
All'interno di casa Lodge si scatena un delirante ed iperbolico crescendo di brutali misfatti e crimini mentre all'esterno si inscena una vergognosa persecuzione razzista in un folle crescendo di stampo ku klux klan contro la tranquilla e stoica famiglia afro-americana.








L'ironia noir e macabra nutrita dell'eccesso ,che è un pò il marchio dei Coen, in effetti ci sarebbe. Condizionale, perchè qualcosa in definitiva non funziona a dovere.
Il film non riesce ad essere una black comedy di graffiante critica sociale ma rimane sospeso ed indeciso , con una propensione al dramma moral play che non gli giova , anzi affloscia il tutto.

Colpa della regia di Clooney o colpa delle ambizioni "politicamente impegnate" dello stesso che mette mano alla sceneggiatura ? Forse sarebbe stato tutt'altro se sceneggiato e girato solo dai 
Coen ?

Comunque sia, il risultato non è ottimale ,il film non vibra e non scoppietta come dovrebbe. Nonostante le interpretazioni più che buone di Matt Damon e di Julianne Moore.

Ci sono gli ingredienti giusti ma il piatto risulta un pò insipido.

Personalmente ritengo però che i pur rispettabili e motivati giudizi della critica siano stati un pò troppo severi : Suburbicon delude un pò , non è un capolavoro ma merita ampiamente la sufficienza.
Certo merita di essere visto.

2 gennaio 2019

Bird Box

Bird Box, 2018



Il Netflix movie più "clicckato" di Dicembre attira per il cast stellare : Sandra Bullock , John Malkovich, Sara Paulson.

Un pò Quiet Place condito con un pò di M.Night Shyamalan (E venne il giorno) di fatto scopiazza malamente entrambi , pasticcia al limite del risibile e dispiace per lo spreco che fa della Bullock , per non parlare di Malkovich. In quanto a Sara Paulson, non fosse per i titoli,  non mi sarei manco accorta della sua presenza (una sola scena iniziale ).

Concept e sceneggiatura non stanno in piedi , c'è un'idea mal sviluppata che non fa  funzionare il film, neppure come pellicola d'intrattenimento "consuma e dimentica". La narrazione a flashback e flashforward non crea suspence , non avvince. La regista danese Bier è ambiziosa ma non ha fatto un buon lavoro qui. Il risultato è parecchie spanne sotto A Quiet place e sicuramente peggio del film di Shyamalan.

Eppure è un tripudio di gradimento di audience. Un mistero , per me.
Consiglio di evitare.