15 dicembre 2018

Roma

Roma, di A. Cuarón, 2018 , Netflix. Leone d'oro Venezia 75. (no spoiler)




Capolavoro assoluto fin dalla prima inquadratura : la pozza d'acqua che rivela , secchiata dopo secchiata, il riflesso del cancello e l'aereo che passa in cielo.
B/n da pellicola d'autore che rievoca ,senza sfigurare neanche un pò, i maestri più classici del cinema : Bergman, Antonioni, Hitchcock. .... soprattutto la cinematografia italiana.

Roma è un quartiere piccolo-borghese di Città  del Messico nel 1971.
Padrona di casa, bambini, nonna, donne di servizio : è la storia di una famiglia . Dalla borghesìa alle classe sociale più umile è un ritratto trasversale  di donne resilienti, generose, forti, amorevoli : gli uomini sono assenti perchè le hanno lasciate sole e in difficoltà.




Non c'è un briciolo di retorica o di sentimentalismo "facile". Piuttosto intravedo un pò di scuola neo-realista italiana. C'è la vita quotidiana , fotografata con rigore quasi maniacale. Ogni inquadratura è un piccolo affresco , significativo, affascinante, potente.

Roma è lungo (2h e 15 min) ma trascina lo spettatore dentro al suo mondo in modo inevitabile,  coinvolgente. Si sprofonda dentro al suo ritmo lento, quasi ipnotico, come ormai non siamo più abituati , troppo assuefatti al cinema contemporaneo dalla narrazione veloce. Si rimane incollati allo schermo fino ai titoli di coda travolti da mille emozioni. 

È un film degno di ogni premio cinematografico : una gioia per il cinefilo ma sicuramente capace di catturare l'attenzione anche dello spettatore meno esperto. Può piacere a tutti. 
Perchè Roma è un film perfetto sotto ogni aspetto, sia narrativo che tecnico. 

Non so da quanto tempo non vedevo un film così bello , splendidamente pensato, girato e fotografato. Credo sia il miglior film che abbia visto quest'anno.

Solo un aspetto negativo : meritava lo schermo grande, la sala. È troppo imponente , epico, per il piccolo schermo che Netflix impone. 

7 dicembre 2018

Black Panther

Black Panther, 2018, Marvel
Nomination miglior film Golden Globes e Critics' Choice Awards 2019.




Ampiamente sopravvalutato e troppo pubblicizzato, l'ultimo cine-fumettone Marvel ha il solo pregio di avere un cast all-black in linea con le istanze politiche afro-americane u.s.a del momento. Con un briciolo di revanchismo che potrebbe anche starci, non fosse del tutto privo di umorismo

Martin Freeman è praticamente l'unico attore bianco presente e non sembra esattamente scelto per le sue capacità attoriali quanto piuttosto per il suo fisico poco "imponente" : altro esempio di totale mancanza di umorismo. O, se preferite, di un umorismo da quattro soldi.

Di fatto l'intera Wakanda-story riecheggia in modo assai superficiale la celebrazione della black aesthetic cara ai movimenti afro-americani dagli anni 20 agli anni 70. Non così attuale quindi, a ben vedere. Nè così ben riuscita : tutti ma proprio tutti i personaggi vantano una prestanza fisica da passerella top-modaiola più che rappresentare uno spaccato anche vagamente credibile della popolazione americana di colore. 

"Fuori dalla porta ci sono tre ragazze vestite da Grace Jones con lancia in mano."




Credo neanche Spike Lee  possa dirsene entusiasta , specie dopo esserselo trovato piazzato in diretta concorrenza sia ai Critics' Choice Awards 2019 che ai Golden Globes 2019 come miglior film a fianco del suo ben più impegnato BlacKkKlansman. Un'esagerazione di certo. 

Da un cine-fumettone con super-eroi Marvel ci aspettiamo soprattutto intrattenimento e divertimento. Purtroppo non ce n'è molto in questo film. Anche la CGI delude non poco. Gli effetti speciali non stupiscono particolarmente. Buoni i costumi, invece.

Non mi è piaciuto Black Panther : furbesco , finto-impegnato, poco divertente, visivamente non memorabile.
Ma ha due nominations importanti e ha fatto botteghino. Alla Marvel non possono lamentarsi.

3 dicembre 2018

Vizio di forma

Vizio di forma (tit. orig. Inherent Vice) , 2014 , di P.T. Anderson




Cast stellare a fuoco e in forma : Joaquin Phoenix , Benicio del Toro , Josh Brolin, Owen Wilson, Reese Witherspoon appaiono convinti e sembra anche che si divertano abbondantemente.
Regìa e sceneggiatura di P.T. Anderson, ispirato quasi come ai tempi di Magnolia.

Ne esce un film scintillante dallo humor surreale e grottesco da vedere senza preoccuparsi troppo della coerenza e della logica della narrazione, piuttosto peregrine, lisergiche e ricche di intrigante nonsense.
Divertente e folle , tratto da un noir di T. Pynchon liberamente interpretato e filtrato secondo la fantasìa iperbolica di P.T. Anderson.
Che non ci fa mancare la sua visione metaforica ed ironica sul "vizio intrinseco" di un'epoca  fra Nixon e Reagan , veicolata anche dalla voce narrante.

Uno splendido Joaquin Phoenix  ,nei panni dello sconclusionato investigatore hippy Larry Doc Sportello  (con un pizzico di Big Lebowski nel dna), avrebbe meritato il Golden Globe per cui era candidato.
La sceneggiatura non originale di Anderson avrebbe probabilmente conquistato l'Oscar 2015 , non avesse incontrato Imitation Game , vincitore quell'anno.

Se ,come me, ve l'eravate perso all'uscita , rimediate subito. Memorabile con gran stile.


27 novembre 2018

L'insulto

L'insulto , di Ziad Doueiri , 2017. Coppa Volpi Venezia 74 , nomination Oscar 2018.


Ben sceneggiato , girato e recitato è soprattutto un film utile a ricordare o (specie per i più giovani) ad apprendere ed approfondire i conflitti che tormentano ancora oggi il Libano , paese diviso tra cristiano-maroniti, palestinesi e minoranza ebraica.

Il cristiano Toni e il rifugiato palestinese Yasser si scontrano per una banale (ma solo apparentemente) lite che assurge , in progressiva escalation  , prima  a dramma giudiziario e infine a tensione socio-politica con tanto di scenario di scontri in piazza fra filo-palestinesi e cristiani.

Ho trovato il film piuttosto sbilanciato per 2/3 del tempo in favore di Yasser, emblematica vittima palestinese a 360○. Toni è invece caratterizzato un pò troppo come estremista fanatico.
La sotto-trama dei due avvocati di parte avversa padre e figlia  mi è parsa abbastanza didattica e scolastica : ideali di giustizia comuni ma diversamente declinati nelle due generazioni.

La svolta finale nell'ultimo terzo del film mette tuttavia "la bilancia in equilibrio" e allarga la prospettiva per il verso giusto (entrambe le parti hanno subito guerra e massacri) definendo l'insulto storico e l'odio reciproco mai sopito come equivalenti. Sottolineando infine la necessità di andare avanti guardando oltre e tentando una ,seppur difficile, riconciliazione nazionale.

Le intenzioni del regista e sceneggiatore sono buone e il film è interessante per noi occidentali, pubblico target del film . Del resto il regista è molto più americano che libanese sia per esperienza artistica (ha lavorato con Tarantino) che per vita personale. Dal film ho ricavato la sensazione che la sua posizione ideologica sia ancora un pò sbilanciata verso quella "sinistra filo-palestinese" che è stata la sua matrice di partenza (come dichiara lui stesso nell'intervista).

La genesi dell'idea per il film è interessante di per sè , per capire meglio regista e film. Qui sotto riporto il link all'intervista al regista.
Un film da vedere , un regista che non ha rilevanti punti in comune con Farhadi , a mio avviso:  approccio meno "intellettuale" rispetto a quest'ultimo , forse meno complesso, più ottimista e più ingenuo. Intervista al regista

17 novembre 2018

La ballata di Buster Scruggs

di Joel & Ethan Coen , 2018. Premio sceneggiatura Venezia 75 ,dal 16 Nov. su Netflix (no spoiler)



Magistrale ritorno dei fratelli più creativi , istrionici , intelligenti, del cinema.

Tutti gli stereotipi del western classico (ri)visitati con impagabile stile e gusto sempre fuori dagli schemi. I Coen, insomma, in sei racconti perfetti , veloci , di gran classe.



Si inizia con il canterino Buster dalla pistola facile e la lingua veloce (Tim Blake Nelson ) e avanti con lo sfortunato cowboy (James Franco) : e subito si sorride alla maniera dei Coen.



Ci si commuove con Liam Neeson ed Harry Melling in "Metal Ticket" , racconto colto e brutale dal retrogusto amaro , con vena surreale. Forse il migliore , secondo me.



Incanta per la fotografìa curatissima di paesaggi splendidi  "All Gold Canyons" impreziosito dal volto (e dalla voce-gratuggia) di Tom Waits  e da un pizzico di poesìa insolita . Almeno finchè dura... che troppo sentimentalismo i registi non ce lo consentono.



"The gal who got rattled" è il momento più romantico e tragico : una carovana di pionieri  la dolce , sola ed ingenua Alice e l'ovvio attacco dei nativi Comanches.
Il racconto più debole , a mio avviso.



Chiude meditativa , filosofica ed infernale la diligenza  di "The mortal Remains". Perfettamente nelle "corde" dei Coen. Bellissimo episodio finale.




È di nuovo una perla di cinema di qualità, il premio a Venezia è del tutto meritato , i Coen sono al meglio. Una pellicola imperdibile, vederla è un gran piacere.

IMDb=7,4/10  R.T=91% critica.


15 novembre 2018

Lucky

Lucky di John Carroll Lynch, 2017


Un pizzico di surrealismo alla David Lynch e un altro di straniamento alla Jim Jarmusch e la pellicola da festival è pronta. Che sia anche valida, questo è un altro discorso.
Sebbene il regista sia solo un omonimo , l'ispirazione lynchana trasuda da ogni fotogramma e battuta.

Il novantenne Lucky ciabatta in mutandoni e flanella o , in alternativa, in jeans e cappello da cowboy lungo una routine giornaliera sempre uguale con doveroso sfondo di paesotto al confine messicano tutto polvere e cactus e tutti che conoscono tutti. Nessuno che abbia molto da fare. Fotografato benissimo, questo bisogna concederlo.

Un pò di ginnastica dolce e 3 pacchetti di sigarette al giorno, riflessioni esistenziali sui generis al bar e cruciverba. Confessioni estemporanee ad un enorme telefono rosso. Ah, ci sono anche Lynch attore e una testuggine (non è una tartaruga, per carità! ) sotto trama d' "umorismo" squisitamente lynchano. Per chi lo apprezza , io no.
Un paio di scene da "lacrimuccia" : alla festa con mariachi e , in chiusura, con la testuggine Roosvelt in primo piano.

Ci tocca riflettere su questioni profonde.
1) Distinguere fra "alone" e "lonely" in primis. Ma a me Lucky sembra entrambe le cose, che gli piaccia ammetterlo o no. Con un bel pò di paura di morire e tanto vuoto affettivo intorno a sè. Casomai la differenza su cui riflettere sarebbe fra "compagnia" ed "affetti" , secondo me.
2) "Realism is a thing" : non si discute, sul dizionario è un sostantivo. Vabbè....
3) "The soul doesn't exist" e allora "non ci resta che sorridere". Ok.
E la noia striscia implacabile.

È un grande omaggio a Harry Dean Stanton, iconico come sempre. Questo caratterista dalla lunga ed emerita carriera meriterebbe però un film migliore , proprio al suo primo (o forse secondo) come personaggio principale e suo ultimo prima di morire.

25 ottobre 2018

Il verdetto

Il verdetto (The children act) , 2018



Povero ragazzo, ha perso Geova e ha trovato te "

La giudice Maye del Tribunale dei minori prende una giusta, incontrovertibile decisione riguardo al 17enne Adam che rifiuta (assieme ai genitori e alla sua comunità) una trasfusione di sangue urgente per motivi religiosi.
Ma prima di farlo gli fa visita all'ospedale , procedura insolita.

La vicenda che ne consegue è altrettanto insolita e psicologicamente complessa.

La vita del ragazzo è più importante della sua dignità  "

Il primo punto forte è la sceneggiatura tratta dal romanzo di Ian McEwan.
Il secondo è l'ottima interpretazione di Emma Thompson , assolutamente in forma e al suo meglio.

La cosa giusta , legalmente e moralmente , qui ha risvolti amari e il prezzo in dubbi, illusioni e dolore è alto . Tutto cambia e nulla cambia davvero positivamente o definitivamente. Forse solo la giudice impara qualcosa e anche per lei c'è un prezzo da pagare.
In una brevissima inquadratura scuote la testa scontenta l'assistente sociale. Che tutto sommato abbia ragione lei ?

" Non potevi mettere un timbro e basta ?  "

Si esce dalla sala con una sensazione di vago disagio , in vena di discutere con chi ha visto il film .
Esattamente ciò che vuole indurre il film nel pubblico .

Film ben costruito e riuscito. Con Emma che cattura tutta l'attenzione , sempre brava.  Da vedere

18 ottobre 2018

La ragazza nella nebbia

La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi , 2017



Il colpevole è Carrisi

Ecco ,anche non avendo letto il libro, in questo caso le diatribe fra lettori  e spettatori del film qui stanno a zero. Carrisi ha scritto il thriller , ha steso la sceneggiatura e ha diretto il film (esordio cinematografico).
Quindi il colpevole è senza dubbio Carrisi .

Colpevole di capi d'accusa importanti:

1) Non si capisce 'na mazza. Chi ha ucciso Anna Lou ? Chi le altre? Soprattutto, Carrisi lo sa chi è il/i killer(s) ? Sembra di no, almeno a vedere il film.

2) Se Servillo sembra la parodia di Servillo , se Jean Reno non fa niente altro che parlare un brutto italiano per un paio di scene (chi ha deciso di non doppiarlo?) ……. beh, non è colpa dei due bravi attori che hanno alle spalle una carriera seria e tante prove di alto livello. I due personaggi interpretati sono fondamentali nella trama. Come si fa a usare due bravi attori così male?

3) Di libri e films del filone psicopatici maniaci, povere ragazzine e investigatori sopra le righe c'è n'è un'orda barbarica in giro da almeno 20 anni. Da almeno 10 anni vincono in libreria e al cinema i "thriller scandinavi". Cupi, contorti e.... pallosi. Contorti che siano, hanno crimini , colpevoli e un contesto.
Qui il colpevole/i non si sa. I crimini non si riesce a contare bene (5 o 6 ?) neanche a rivedere la scena della scatola con le ciocche di capelli rossi 10 volte di fila.
A leggere le mille ipotesi del pubblico che ha visto il film più le mille ipotesi di chi ha letto il libro (o tutt'e due) in totale fanno 10 mila risposte diverse.
Glisso sul contesto, Avechot, che ci manca solo Bruno Vespa a spiegare il plastico. Maddai, suvvia.

4) Abbiamo tutti capito , almeno quello, la polemica di Carrisi sulle indagini in stile italiota sui reati che piacciono al carrozzone mediatico e ai fruitori medi di talk-show dell'orrore su tali crimini. I riferimenti a UnaBomber, Yara, Cogne e quant'altro sono fin troppo espliciti.
Sappiamo anche che Carrisi è comparso più volte in tali talk-show fra gli estemporanei "esperti" mediatici : criminologi da tv , psicologi da tv etc etc.
Sarà per questo, forse, che il film é un pasticcio di indizi, sospetti, costrutti e nessun fatto che stia in piedi con logica?

Ahi, ahi..... il cinema italiano non ha bisogno di altra spazzatura. E , spiace dirlo, questo film non fa eccezione alla mediocrità cinematografica diffusa. No, no, per me così non va.

Piuttosto, consiglio di andare a recuperare un'altra ragazza e un altro Servillo. La ragazza del lago , 2007. È tutto italiano , tratto da un thriller norvegese (sì quelli cupi e contorti di cui sopra) ma che almeno si capisce.

8 ottobre 2018

Leave no trace (Non lasciare traccia)

Leave no trace ,v.o. 2018 . L' indie di qualità a basso budget e tanta sostanza .
Presentato al Sundance 2018 e a Cannes 2018. Nomination Critics' choice awards 2019 per T. McKenzie miglior giovane attrice.




Film "indie" accattivante, lontano dalle produzioni commerciali . Rievoca un pò Into the wild , un pò Captain Fantastic ma sostanzialmente va in una direzione tutta sua.

Belle riprese naturali in mezzo a boschi e foreste nell'entroterra di Portland , molta delicatezza e sobrietà nel raccontare la storia inconsueta di un veterano di guerra (Ben Foster) che non sa più vivere nel mondo civilizzato e sceglie una vita selvaggia , in mezzo alla natura , ai margini della società. Porta con sé la figlia 13enne, magnificamente interpretata dalla giovane Thomasin McKenzie per la quale la regista e co-sceneggiatrice Debra Granik  sceglie molti primi piani , poche battute, una recitazione minimalista molto efficace nella sua semplicità. 

Il film non ci concede spiegazioni sulle motivazioni e i traumi che spingono il padre a quel tipo di vita. Inizia "in media re" , in mezzo alla natura.  Ottima anche la scelta di non indulgere in riflessioni di tipo morale sul fatto che il padre trascini la figlia nel suo dolore/ incapacità (in questo senso c'è grande differenza con "Captain Fantastic"). C'è semplice descrizione, pochi dialoghi e nessun giudizio ideologico. Il padre è un uomo che vuole perdersi (si è già perso) similmente al protagonista di "Into the wild".

È anche , forse soprattutto, un film sul coming of age della ragazzina, nettamente atipico. Alcune scene , come quella delle api, e il poetico, duro, finale sono un inno all'indipendenza , all'evoluzione di una personalità forte e matura. Anche grazie agli insegnamenti dell'amato padre e ad incontri con persone "simili" ed empatiche.

Colonna sonora folk nostalgica e molto pertinente (prestare attenzione ai testi delle canzoni).

Film da non perdere, consigliatissimo!