The wife, di Björn Runge, 2018
Se sarà Oscar per Glenn Close sarà un riconoscimento alla carriera di questa ottima attrice più che un premio per l'interpretazione in The wife.
Beninteso , anche qui la Close è brava perché di recitar male non le riesce , l'esperienza non è acqua e il suo volto è un'icona amatissima dal pubblico.
Brava anche perchè la sceneggiatura è poca cosa. Pryce si spende ma non eccelle, gli attori che interpretano i protagonisti da giovani non pervengono emotivamente al pubblico.
Le espressioni di Glenn Close invece "bucano" lo schermo , come spesso accade con lei sul set, e coinvolgono senza dubbio, complici anche i frequenti primi piani.
D'altronde il dramma nascosto , il sacrificio femminile è suo , della moglie nell'ombra , custode di un segreto che solo un giornalista interessato e petulante (Slater) sembra aver intuito e vorrebbe divulgare.
La sceneggiatura non originale è tratta da un testo letterario a me sconosciuto.
Ed è intrisecamente debole.
Ci chiede di considerare i tempi in cui la sottomissione della protagonista inizia , inzio anni 60, tempi in cui una donna che scrive non aveva le stesse possibilità di successo rispetto ad un uomo scrittore. Ci crediamo ma non riusciamo a scordarci che ,proveniente da un paese patriarcale e retrogrado come l'Italia , Grazia Deledda vinse il Nobel nel 1926.
Ci chiede di comprendere la frustrazione e il dolore della protagonista alla cerimonia di premiazione del Nobel negli anni 90.
Ci immergiamo negli sguardi e negli umori di Glenn Close e le crediamo perché l'attrice è nella parte con tutto il suo carisma.
Ma non possiamo fare a meno di chiederci quanto valga questo malumore tardivo e cmq. auto-censurato e abilmente nascosto : la "timida" moglie è stranamente ben tosta nel dissuadere e perfino minacciare il giornalista in cerca di scoop.
Le dinamiche che portano ad anni ed anni di sottomissione e silenzio (mancanza di autostima? ) sarebbero da inviduare nel passato. Ma ben poco ci aiutano i flashback che ci porgono l'immagine di un professore carismatico ed egocentrico di contro all'allieva innamorata ed intimidita , soprattutto dalla caustica esternazione della scrittrice fallita ed amareggiata.
Ci sforziamo di crederci ma il tutto sembra insufficiente a giustificare un sacrificio lungo una vita.
Concludo con una considerazione personale: ogni anno Oscar e Golden Globe sembrano sempre occupati ad apparire "politically correct" con nominations che istituiscono artificiose "quote" : quota "afro-american", quota "gay friendly" , quota "rosa".
Se , per caso, questa nomination a miglior attrice significasse "quota rosa" , con il ritratto della "donna di talento nell'ombra" allora mi vien da rispondere a gran voce che era meglio Tully con una grande interpretazione di Charlize Theron sulla sceneggiatura consistente, bellissima, di Diablo Cody.
Quella sì avrebbe rappresentato una storia al femminile attuale ed intensa.
Nessuna nomination invece.
Forse davvero è solo un riconoscimento a Glenn Close , che l'Oscar non l'ha vinto mai. E chissà che lo vinca la Colman invece, per il roboante La favorita che sta impazzando con le sue (immeritate) 10 nominations. Che beffa per la Close, in quel caso. Dovrà attendere un Oscar alla carriera, povera lei.
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