8 dicembre 2019

Atlantique

Atlantique, di Mati Diop, Gran Premio Speciale della Giuria Cannes 2019 (Senegal,Fra,Bel).



Credo sia necessario avvicinarsi a questa pellicola lasciando perdere ogni ricerca di pregio tecnico perchè in tal senso troveremmo solo l' "ingenuità" di un esordio molto "indie" di Mati Diop , anche co-sceneggiatrice, alla sua prima prova. 

Meglio far attenzione a ciò che dice questo piccolo bel film a basso budget.
Che non si concentra su chi sale sul solito tragico "barcone" della disperazione e dell'illusione alla volta dell'Europa lontana.  Molto lontana ,perchè qui qualcuno parte da Dakar ,Senegal, verso la Spagna . Di mezzo c'è tanto Altantico. 
Ma il film non s'interessa tanto di questo. Non vediamo nulla di questo. 



Questa è la storia di chi ritorna e di chi rimane. Storia di giovani donne ed uomini. 
Il ritorno è peculiare alle credenze tradizionali trasversali a tutta l'Africa sub-sahariana che nessuna religione inculturata ha ancora spazzato via del tutto.
I giovani non credono più a queste sciocchezze, ovviamente. Fintanto che non accadono proprio a loro.


Vi consiglio di guardare Atlantique su Netflix non perchè l'ha girato una donna di colore , non perchè i barconi vi fanno venire i lacrimoni. Non credo sia per questo che l'hanno premiato. Anzi. Meglio ascoltare Ada , la protagonista , nella sua battuta /inquadratura finale :
"Io sono Ada e io sono il futuro".  
In Senegal, per un paese migliore.

La regista Mati Diop a Cannes

6 dicembre 2019

The nest - Il nido

# tentativi di conciliazione con il nuovo cinema italiano#
The Nest , di Roberto De Feo, 2019.(Ita). Horror




Non bastano location intrigante , locandina evocativa, fotografia de-saturata e musica classica , luci basse , tappezzerie da mal di testa, lunghi piani sequenza fra stanze e corridoi e un limite invalicabile che lascia intuire il pericolo del "mondo di fuori" per costruire un horror italiano con ambizioni internazionali.




L'ispirazione a The Village e a The Others la dichiarò l'esordiente regista ancor prima di mandare il film in sala. Peccato che con The Village abbia poco a che fare , questo The Nest, e ancora meno a che fare con il ben più alto livello di The Others. Molta ambizione ,forse troppa.
Per fare un film ci vogliono idee che qui invece latitano , disperse in una sceneggiatura pasticciata.
Un esordio può essere incerto, anche rozzo, ma si dovrebbe intuire la "stoffa" del regista. Pur tecnicamente bravo, De Feo manca di contenuti anche solo con una parvenza di logica. Di originalità non se ne ravvisa alcuna.



Tre personaggi sostenuti da tre attori che ce la mettono tutta ma i comprimari sono appena (e male) abbozzati.
Il film si dilunga per creare un mistero risolto sbrigativamente nei 5 minuti finali che dovrebbero giustificare il tutto. Senza spoilerare, il "fuori" che scopriremo davvero pericoloso non basta a giustificare la dittatura delirante quanto inutile instaurata dalla folle Elena "dentro" le mura della villa del lago.
Incredibile che non avvenga un immediato colpo di stato "dentro", visto che l'unica alternativa al temuto mondo esterno gira tutta intorno ad Elena "padrona" tutta dedita a "proteggere" l'ignaro figlio Samuel. Tutti gli altri sono schiavi infelici (e tiranneggiati) di una pseudo-salvatrice del prescelto principino paraplegico (povero Samuel !).

In The Village c'era una scelta forse scellerata ma motivata e soprattutto condivisa (da parte degli adulti) con lo scopo ben preciso di tenere "fuori" dalla violenza del mondo i propri figli. Un tentativo di società autarchica , conservatrice  , alternativa, che ben presto implode dall'interno.
Il richiamo a The Others si intuisce invece negli ultimi 5 minuti rivelatori ma è fragilissimo e superficiale. Vero che i personaggi che vivono nella tenuta sono , alla luce della scoperta finale , i veri "altri" rispetto al mondo esterno. Ma la similitudine finisce lì. The Others era molto altro.
In conclusione , la mia speranza di vedere un film italiano che tenti di uscire dalla mediocrità del cinema nostrano è stata ampiamente delusa.
Che dispiacere !

3 dicembre 2019

Parasite

Parasite, di Bong Joon-ho, 2019  (Kor). Palma d'Oro Cannes 2019



Non sono estimatrice del cinema del regista coreano. Non lo capisco, non lo apprezzo. Probabilmente un mio limite. 

Parasite mi ha convinta a rivedere la mia opinione. Mettendo in conto una buona dose di sospensione dell'incredulità, il film appassiona , scorre molto bene e va a segno. Mi è piaciuto l'equilibrio nel miscelare commedia e dramma, il grottesco per una volta è ben misurato. La recitazione qui non scade nel macchiettistico : è sobria abbastanza con quel tanto di esagerazione funzionale alla svolta surreale finale. 
Bella la fotografia , riprese notevoli : indimenticabile la discesa /fuga notturna dei Kim sotto un diluvio di pioggia , dall'olimpo dei Park al ghetto inondato da fognature straripanti.



Le scenografie degli interni sono quanto mai indovinate . Lo spazio enorme arredato in modo minimalista con la parete vetrata sul giardino dei Park di contro al minuscolo seminterrato dei Kim con water a vista e finestrella a bordo vicolo sporco con ubriachi orinanti . Ed ancora , il terribile labirinto sotterraneo alla villa dei Park senza finestre.  Ambienti che raccontano la storia più di mille dialoghi. 


Perfetto il titolo. Nel lindo mondo dei Park si intrufolano , non visti, dei "parassiti" ma al di sotto di tutto ciò sopravvivono altri più disperati "parassiti". 
A dispetto della filosofia classista del signor Park , il "limite" viene oltrepassato ben oltre la sua immaginazione. 


Questa volta Bong Joon-ho mi è piaciuto. Mi è sembrato il suo miglior film finora. 
L'ho trovato più maturo, stilisticamente raffinato. 

1 dicembre 2019

The Irishman

The Irishman ,di Martin Scorsese, 2019. Con Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci.
 IMDb 8,4/10 ; R.T. 96%critica 86% audience

 

Poco entusiasta dopo la visione su Netflix. 
Regia di indiscutibile livello, Scorsese non si smentisce mai. 

Il ringiovanimento digitale non mi ha convinta : volti avvitati su corpi senili dalle movenze senili. Al Pacino peggio di De Niro in tal senso.


Recitazione non criticabile, si tratta sempre di grandi attori, Pesci mi è piaciuto particolarmente.

E' l'opera magna di Scorsese nel genere gangster-movie , una specie di compendio riassuntivo ed esaustivo di tutto ciò che Scorsese ha già detto in altri film. Interessante, perché poco conosciuta, la storia del potente sindacalista Jimmy Hoffa. Sulle collusioni dei Kennedy con ambienti malavitosi di certo Scorsese non le manda a dire : molto esplicito.


Tuttavia quest'operazione nostalgica non mi ha coinvolta. Le prime due ore scorrono, poi , per me, fatica a seguirlo fino in fondo. I 209 min. in questo caso mi sono pesati e non mi sono sembrati del tutto necessari.

Apprezzo da sempre Scorsese. Ma questo mi sembra uno dei suoi lavori meno riusciti. Spero ci regali ancora altri film.



9 novembre 2019

American Son

American Son , regia di Kenny Leon, sceneggiatura  di Christopher Demos-Brown, 2019 , su Netflix dal 1 Nov.
Attori : Kerry Washington, Steven Pasquale, Jeremy Jordan, Eugene Lee.
Presentato al Toronto F.F. a settembre.


Netflix ingaggia drammaturgo, regista ed attori per portare in tv il dramma teatrale  andato in scena l'inverno scorso a Broadway . Pochissime variazioni rispetto alla piéce teatrale (così si evince dalla stampa oltre oceano). Cosicchè dai divani e poltrone delle case di mezzo mondo possiamo vedere (più o meno) lo stesso spettacolo che in teatro  (prezzo medio d'ingresso 200 $) ha visto, applaudito e commentato tutto il "vippario" black&white che conta,  Michelle Obama inclusa. 





Curiosamente (o forse no, vai a capirli) pièce e film tv si sono attirati tutte le critiche possibili ed immaginabili da parte di tutta la critica (teatrale e cinematografica) che conta , New York Times e Guardian inclusi. 

C'è qualcosa che non torna ? Green Book vinse l'Oscar e mise tutti d'accordo.
Questa pièce e il relativo film mettono tutti in disaccordo e in gran confusione. 
Quattro personaggi e quattro punti di vista diversi su di un argomento che tocca un "nervo scoperto" dell'America contemporanea. 

Il regista Kenny Leon

Gli attori sul palcoscenico a Broadway 

 Ad inizio film passa una citazione che è tutto un programma : 

 “But race is the child of racism, not the father"
 Buona visione (consiglio di vederlo) su Netflix. 

1 novembre 2019

Il re (The King)

The King (tr.it. "Il re") , di David Michôd , 2019. Presentato fuori concorso a Venezia 2019. Su Neflix 1 Nov.


L'ambizione di una trasposizione libera di una fra le più opere Shakespeariane più "toste" , l' Enrico V, pensata e scritta a due mani da Michôd ed Edgerton, è stata l'assunzione di un gran bel rischio. 

Rischio perchè l'ombra lunga ed autorevole di Kenneth Branagh è appena dietro l'angolo e c'è poco da scherzare.
Rischio perchè scegliere un cast di star giovani ed emergenti quali Chalamet,   Thomasin McKenzie ( Senza lasciare traccia) e Lily-Rose Depp (Io danzerò, L'uomo fedele) poteva attirare per poi scontentare il pubblico più giovane. E di contro suscitare dubbiosi pregiudizi fra il pubblico più grandicello.



Di fatto il rischio è ben calcolato e gestito. Le due giovani attrici hanno entrambe una "particina" risicata che far danno era impossibile. 
Chalamet è sostenuto da attori consistenti ed esperti , Edgerton in primis in un Falstaff convincente senza mai salire sopra le righe (notevole).  Sean Harris, Ben Mendelsohn, Robert Pattison ed altri sostengono degnamente. 



Direi che la vera "prova del nove" era senz'altro per Timothée Chalamet, talentuoso ma finora conosciuto per interpretazioni adolescenziali (Chiamami con il tuo nome, Beautiful Boy) per le quali ha avuto senz'altro il giusto physique du rôle e il giusto approccio. 
Ma un Enrico V, mai visto al cinema come "giovane" ? Per non parlare del teatro, che lì è parte solo per attori espertissimi.
D'altro canto la storia non mente, Enrico V salì al trono a 26 anni. Altri re anche più giovani. 

A conti fatti Timothée Chalamet supera la prova in modo onorevole confermandosi attore capace di sganciarsi dal "beautiful boy" e relativa fanbase giovanile.

La sceneggiatura sa porsi con equilibrio senza disturbare mostri sacri e peccare di presunzione. Via il monologo del giorno di San Crispino sostituito da un'arringa semplice ma che non sfigura. Niente citazioni impegnative ma tutto sommato il peso e gli inganni del potere ci sono e definiscono questo Enrico V quanto basta per renderlo un credibile adattamento che si lascia vedere da tutti senza annoiare nè scandalizzare alcuno. 

Pellicola a mio parere promossa (niente capolavoro, per carità, beninteso). 
Netflix é  una di quelle volte che spende bene i soldi. 

31 ottobre 2019

Rams

Rams (tit.orig. Hrútar ) di Grímur Hákonarson, 2015 (Islanda). 
Premio "Un certain Regard" Cannes 2015. 



Premessa personale : mi era dispiaciuto , quell'anno, che il premio della sezione Un certain regard non fosse andato al giapponese "Le ricette della signora Toku" . Non avevo visto "Rams" allora. Preferisco tutt'ora il film giapponese. Certamente la sezione di concorso in questione va alla ricerca dell'originale e dell'inconsueto e ,sotto questo punto di vista, Rams è assai bizzarro e decisamente lontano da ogni luogo comune cinematografico. 
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Minimalista e dal passo narrativo lento, Rams è pellicola  adatta ad un pubblico cinefilo dai gusti poco mainstream. 
Sullo sfondo , i bellissimi paesaggi d'Islanda parlano di vita rurale legata alla natura, ma anche di solitudine e di due fratelli piu abili nella cura degli ovini che nei rapporti umani .
Un'epidemia ovina ha la portata di un'apocalissi. Tutti gli ovini dovranno essere abbattuti. Con ripercussioni economiche disastrose per tutti gli allevatori.



L'ordinanza veterinario-sanitaria vedrà l' irrazionale e testarda presa di posizione da parte del solitamente saggio Gummi. 
Fra i burberi fratelli Gummi e Kiddi, che non si parlano più da anni e comunicano solo tramite biglietti portati dal cane, le pre-esistenti tensioni andranno man mano conciliandosi di fronte alla disgrazia. 



Non privo di un proprio sottile sense of humor , Rams rimane un dramma a modo suo sensibile ed affascinante a patto di riuscire ad entrare nelle emozioni ben celate dei due pastori e nel loro legame profondo con la terra e gli animali.


30 ottobre 2019

Rosetta

Rosetta, di Jean-Pierre e Luc Dardenne , 1999 (BL, FR). Palma d'oro e premio miglior attrice  52○ Cannes Film Festival .


La camera  segue ossessivamente i movimenti concitati della furiosa Rosetta , sempre di corsa, sempre in affanno.

"Io mi chiamo Rosetta,  ho trovato un lavoro,  ho un amico, io ho una vita normale"

L'aspirazione di Rosetta viene tragicamente negata in una spirale discendente di frustrazione ,dolore e solitudine, nonostante la sua  determinazione a fuggire dalla miseria materiale e morale della vita cui è costretta.



Niente buonismi, per fortuna : Rosetta è rozza e  a momenti brutale , vera quanto è vero il degrado sociale e famigliare in cui si dibatte ribelle con le scarse risorse dei suoi 17 anni.
Nè Rosetta può concedersi il lusso di sorridere o divertirsi , come la sua giovinezza richiederebbe : è badante della madre alcolista quando non corre per procurarsi il cibo, il denaro, gli abiti. Dolori addominali,  forse psico-somatici, l'affliggono frequentemente.
Non succede molto in questa pellicola : la camera insegue la protagonista e noi spettatori veniamo trascinati appresso a lei e alla sua battaglia senza fortuna nè gloria per la dignità di un lavoro onesto e per la sopravvivenza stessa.



Nessun sogno americano , nessun riscatto per lei.
Il primo, l'unico, pianto finale viene bruscamente interrotto dai titoli di coda.
Un film duro. Un piccolo capolavoro, a mio parere, ben meritevole della Palma d'Oro.

26 ottobre 2019

Arizona Junior

Arizona Junior, di Joel & Ethan Coen , 1987. 



Con Nicolas Cage, Holly Hunter, John Goodman, William Forsythe, Frances McDormand.

Folle, frizzante in surreale crescendo



Secondo lavoro dei Coen , presentato fuori concorso al 40○ Festival di Cannes con gran successo di critica.
Nel 2000 l'American Film Institute lo ha inserito al trentunesimo posto nella classifica delle migliori cento commedie americane di tutti i tempi e nel 2004 il New York Times lo ha incluso nella sua lista dei 1000 migliori film di sempre.



Trama gradevolmente squinternata , personaggi altrettanto. Commedia spassosa e grottesca con un pizzico di western. Il tutto sopra le righe e assurdo quanto basta per essere già un film in pieno stile Coen, qui solo all'inizio della loro carriera. 

Nota curiosa : Sebbene convenzionalmente ormai venga citato come opera di entrambi,  la regìa vede ufficialmente accreditato il solo Joel mentre la produzione esecutiva è accreditata al solo Ethan, la sceneggiatura e il soggetto ad entrambi.

Un recupero doveroso se manca. 

17 ottobre 2019

Il primo re

Il primo re, di Matteo Rovere , 2019.



Bella fotografia a luci naturali di Ciprì. L'aspetto estetico è curato e convincente anche per quanto riguarda le location, le riprese, i costumi, il look degli attori. Richiama alla mente Valhalla Rising, d'altronde il regista l'ha apertamente dichiarato come modello. 






Tentativo ambizioso di riportare il desueto "peplum" italiano al cinema ma con piglio decisamente autoriale ed artistico. Tentativo in parte riuscito e in parte debole.

Stupefacente e ragguardevole la scelta dei dialoghi in ipotetico proto-latino "costruito" a tavolino da semiologi dell'Università La Sapienza di Roma. La parte più interessante per me. Da valutare se mai riuscirò a reperire lo script originale. Perchè all'ascolto il latino sembra pochino e l'insieme incomprensibile e bizzarro.





D'altra parte se Mel Gibson ha osato con l'aramaico e con l'oscura lingua maya yucateco non si vede perchè non possa, anzi debba, un italianissimo film azzardare con una (studiata) ipotesi di proto-lingua del nostro territorio e della nostra storia (753 a.c.)

Il lato debole è l'afflato epico che non riesce ad arrivare allo spettatore se non nell'ultima scena accanto alla pira sulla sponda del Tevere e nelle mappe d'espansione del dominio latino durante i titoli di coda. Il resto è molto fango, molti combattimenti, molti morti ma poco pathos. 
Coraggiosa ma forse un pò azzardata l'interpretazione della leggenda con un Remo difficile da leggere : anarchico ed ateo o leader autoritario e violento ? Oscilla così repentinamente dall'uno all'altro estremo da suscitare qualche perplessità. 
E Romolo, devoto conservatore o leader dei deboli ? 
La sceneggiatura non si decide e lo spettatore deve fare da sè. 




Nel complesso un film interessante nel panorama cinematografico italiano , senz'altro da vedere ma risulta un pò fiacco rispetto alle intenzioni.