31 ottobre 2019

Rams

Rams (tit.orig. Hrútar ) di Grímur Hákonarson, 2015 (Islanda). 
Premio "Un certain Regard" Cannes 2015. 



Premessa personale : mi era dispiaciuto , quell'anno, che il premio della sezione Un certain regard non fosse andato al giapponese "Le ricette della signora Toku" . Non avevo visto "Rams" allora. Preferisco tutt'ora il film giapponese. Certamente la sezione di concorso in questione va alla ricerca dell'originale e dell'inconsueto e ,sotto questo punto di vista, Rams è assai bizzarro e decisamente lontano da ogni luogo comune cinematografico. 
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Minimalista e dal passo narrativo lento, Rams è pellicola  adatta ad un pubblico cinefilo dai gusti poco mainstream. 
Sullo sfondo , i bellissimi paesaggi d'Islanda parlano di vita rurale legata alla natura, ma anche di solitudine e di due fratelli piu abili nella cura degli ovini che nei rapporti umani .
Un'epidemia ovina ha la portata di un'apocalissi. Tutti gli ovini dovranno essere abbattuti. Con ripercussioni economiche disastrose per tutti gli allevatori.



L'ordinanza veterinario-sanitaria vedrà l' irrazionale e testarda presa di posizione da parte del solitamente saggio Gummi. 
Fra i burberi fratelli Gummi e Kiddi, che non si parlano più da anni e comunicano solo tramite biglietti portati dal cane, le pre-esistenti tensioni andranno man mano conciliandosi di fronte alla disgrazia. 



Non privo di un proprio sottile sense of humor , Rams rimane un dramma a modo suo sensibile ed affascinante a patto di riuscire ad entrare nelle emozioni ben celate dei due pastori e nel loro legame profondo con la terra e gli animali.


30 ottobre 2019

Rosetta

Rosetta, di Jean-Pierre e Luc Dardenne , 1999 (BL, FR). Palma d'oro e premio miglior attrice  52○ Cannes Film Festival .


La camera  segue ossessivamente i movimenti concitati della furiosa Rosetta , sempre di corsa, sempre in affanno.

"Io mi chiamo Rosetta,  ho trovato un lavoro,  ho un amico, io ho una vita normale"

L'aspirazione di Rosetta viene tragicamente negata in una spirale discendente di frustrazione ,dolore e solitudine, nonostante la sua  determinazione a fuggire dalla miseria materiale e morale della vita cui è costretta.



Niente buonismi, per fortuna : Rosetta è rozza e  a momenti brutale , vera quanto è vero il degrado sociale e famigliare in cui si dibatte ribelle con le scarse risorse dei suoi 17 anni.
Nè Rosetta può concedersi il lusso di sorridere o divertirsi , come la sua giovinezza richiederebbe : è badante della madre alcolista quando non corre per procurarsi il cibo, il denaro, gli abiti. Dolori addominali,  forse psico-somatici, l'affliggono frequentemente.
Non succede molto in questa pellicola : la camera insegue la protagonista e noi spettatori veniamo trascinati appresso a lei e alla sua battaglia senza fortuna nè gloria per la dignità di un lavoro onesto e per la sopravvivenza stessa.



Nessun sogno americano , nessun riscatto per lei.
Il primo, l'unico, pianto finale viene bruscamente interrotto dai titoli di coda.
Un film duro. Un piccolo capolavoro, a mio parere, ben meritevole della Palma d'Oro.

26 ottobre 2019

Arizona Junior

Arizona Junior, di Joel & Ethan Coen , 1987. 



Con Nicolas Cage, Holly Hunter, John Goodman, William Forsythe, Frances McDormand.

Folle, frizzante in surreale crescendo



Secondo lavoro dei Coen , presentato fuori concorso al 40○ Festival di Cannes con gran successo di critica.
Nel 2000 l'American Film Institute lo ha inserito al trentunesimo posto nella classifica delle migliori cento commedie americane di tutti i tempi e nel 2004 il New York Times lo ha incluso nella sua lista dei 1000 migliori film di sempre.



Trama gradevolmente squinternata , personaggi altrettanto. Commedia spassosa e grottesca con un pizzico di western. Il tutto sopra le righe e assurdo quanto basta per essere già un film in pieno stile Coen, qui solo all'inizio della loro carriera. 

Nota curiosa : Sebbene convenzionalmente ormai venga citato come opera di entrambi,  la regìa vede ufficialmente accreditato il solo Joel mentre la produzione esecutiva è accreditata al solo Ethan, la sceneggiatura e il soggetto ad entrambi.

Un recupero doveroso se manca. 

17 ottobre 2019

Il primo re

Il primo re, di Matteo Rovere , 2019.



Bella fotografia a luci naturali di Ciprì. L'aspetto estetico è curato e convincente anche per quanto riguarda le location, le riprese, i costumi, il look degli attori. Richiama alla mente Valhalla Rising, d'altronde il regista l'ha apertamente dichiarato come modello. 






Tentativo ambizioso di riportare il desueto "peplum" italiano al cinema ma con piglio decisamente autoriale ed artistico. Tentativo in parte riuscito e in parte debole.

Stupefacente e ragguardevole la scelta dei dialoghi in ipotetico proto-latino "costruito" a tavolino da semiologi dell'Università La Sapienza di Roma. La parte più interessante per me. Da valutare se mai riuscirò a reperire lo script originale. Perchè all'ascolto il latino sembra pochino e l'insieme incomprensibile e bizzarro.





D'altra parte se Mel Gibson ha osato con l'aramaico e con l'oscura lingua maya yucateco non si vede perchè non possa, anzi debba, un italianissimo film azzardare con una (studiata) ipotesi di proto-lingua del nostro territorio e della nostra storia (753 a.c.)

Il lato debole è l'afflato epico che non riesce ad arrivare allo spettatore se non nell'ultima scena accanto alla pira sulla sponda del Tevere e nelle mappe d'espansione del dominio latino durante i titoli di coda. Il resto è molto fango, molti combattimenti, molti morti ma poco pathos. 
Coraggiosa ma forse un pò azzardata l'interpretazione della leggenda con un Remo difficile da leggere : anarchico ed ateo o leader autoritario e violento ? Oscilla così repentinamente dall'uno all'altro estremo da suscitare qualche perplessità. 
E Romolo, devoto conservatore o leader dei deboli ? 
La sceneggiatura non si decide e lo spettatore deve fare da sè. 




Nel complesso un film interessante nel panorama cinematografico italiano , senz'altro da vedere ma risulta un pò fiacco rispetto alle intenzioni. 

12 ottobre 2019

Omicidio al Cairo


Omicidio al Cairo (The Nile Hilton Incident), di Tarik Saleh, 2017. Premio World Cinema Grand Jury Prize al Sundance 2018.

Una "Gotham City" per davvero.


Noir in una capitale malsana e corrotta apparentemente investita da una "primavera" politica di pseudo-rilancio economico e disordini di piazza nel 2011 sotto la presidenza Mubarak.
Nouredin è un poliziotto sporco e corrotto che incappa nell'omicidio di una cantante al Nile Hilton. C'è un politico di mezzo e prontamente il fatto viene archiviato come suicidio. Ma la faccenda si complica e Nouredin, promosso ad hoc, esplorerà il marciume dei ghetti quanto quello delle classi sociali privilegiate.



Affascinante ed allucinante viaggio in una "Gotham" egiziana dove la gente muore facilmente e nessuno è libero o al sicuro, anche se in custodia al comando di polizia (la tortura è prassi comune), anche se appartiene alle forze dell'ordine, divise in "distretti" in guerra l'uno contro l'altro e tutti in balìa dell'oscura Sicurezza Nazionale.
In piazza Tahrir la gente è in rivolta e la polizia spara sulla folla.
Nell'anarchia e nella violenza più totali, la propria sopravvivenza diventerà l'imperativo primario per Nouredin, anti-eroe involontario la cui misura diventa improvvisamente colma di fronte alle troppe ingiustizie e alle troppe morti.


Interessante dal punto di vista storico-politico (il film azzarda una secca denuncia) e contemporaneamente elegante dal punto di vista visivo. 


Il film è stato girato in Marocco perchè la Sicurezza Nazionale ha impedito le riprese al Cairo al regista egiziano naturalizzato svedese. Probabilmente un film politicamente "scomodo".

6 ottobre 2019

What Maisie Knew

What Maisie Knew, di Scott McGehee e David Siegel, 2012


Battaglia per la custodia della piccola Maisie da parte di genitori divorziati negligenti, egocentrici ed inadeguati. I rispettivi nuovi partners dei genitori, sebbene non molto più preparati a gestire la difficile situazione, entreranno a far parte di una famiglia allargata disfunzionale con una girandola di "sballottamenti" della piccola che diventa un oggetto da parcheggiare.




Storia che si mantiene in equilibrio senza cadere nel sentimentalismo con (relativo) happy ending che dà sollievo allo spettatore pur essendo poco logico e credibile.


Ottime interpretazioni di Julianne Moore (la madre cantante) e della giovanissima Onata Aprile (Maisie) più saggia di tutti gli adulti che le ruotano attorno. Skarsgärd (Lincoln) gigioneggia belloccio a spalle curve come al solito , non pervenuto.

Liberamente tratto e riadattato dal romanzo omonimo di Henry James (1897) , nel confronto con il testo originale il film differisce di molto,  perdendo qualcosa ma anche migliorandolo in altro.

Henry James , celebre e raffinato indagatore della psicologia dei suoi personaggi, usava la tecnica del "punto di vista circoscritto" . Nel romanzo si segue Maisie dall'infanzia all'adolescenza senza poter comprendere altro da ciò che Maisie stessa sa capire o vedere. Nel film il punto di vista non riesce a focalizzarsi interamente sulla coscienza di Maisie , nonostante le varie riprese a camera bassa, all'altezza dello sguardo della piccola . Riprese più estetiche che funzionali : il punto di vista è esterno e quindi tutta la vicenda risulta più comprensibile ma anche più ordinaria e meno ambigua. Maisie è raccontata in un arco di tempo più ristretto, solo l'infanzia. I personaggi adulti differiscono di molto dal romanzo (manca del tutto Mrs.Wix) e forse è meglio così. Il film risulta meno complesso, meno duro ma anche meno puritano-accusatorio del romanzo. Maisie stessa è più lineare, una bimba più realistica e meno caricata di responsabilità morali rispetto al romanzo.


Nel complesso, dimenticando temporaneamente il testo letterario di Henry James, il film è delicato e godibile con una Maisie sensibile e credibile.
Da vedere.