Un pizzico di surrealismo alla David Lynch e un altro di straniamento alla Jim Jarmusch e la pellicola da festival è pronta. Che sia anche valida, questo è un altro discorso.
Sebbene il regista sia solo un omonimo , l'ispirazione lynchana trasuda da ogni fotogramma e battuta.
Il novantenne Lucky ciabatta in mutandoni e flanella o , in alternativa, in jeans e cappello da cowboy lungo una routine giornaliera sempre uguale con doveroso sfondo di paesotto al confine messicano tutto polvere e cactus e tutti che conoscono tutti. Nessuno che abbia molto da fare. Fotografato benissimo, questo bisogna concederlo.
Un pò di ginnastica dolce e 3 pacchetti di sigarette al giorno, riflessioni esistenziali sui generis al bar e cruciverba. Confessioni estemporanee ad un enorme telefono rosso. Ah, ci sono anche Lynch attore e una testuggine (non è una tartaruga, per carità! ) sotto trama d' "umorismo" squisitamente lynchano. Per chi lo apprezza , io no.
Un paio di scene da "lacrimuccia" : alla festa con mariachi e , in chiusura, con la testuggine Roosvelt in primo piano.
Ci tocca riflettere su questioni profonde.
1) Distinguere fra "alone" e "lonely" in primis. Ma a me Lucky sembra entrambe le cose, che gli piaccia ammetterlo o no. Con un bel pò di paura di morire e tanto vuoto affettivo intorno a sè. Casomai la differenza su cui riflettere sarebbe fra "compagnia" ed "affetti" , secondo me.
2) "Realism is a thing" : non si discute, sul dizionario è un sostantivo. Vabbè....
3) "The soul doesn't exist" e allora "non ci resta che sorridere". Ok.
E la noia striscia implacabile.
È un grande omaggio a Harry Dean Stanton, iconico come sempre. Questo caratterista dalla lunga ed emerita carriera meriterebbe però un film migliore , proprio al suo primo (o forse secondo) come personaggio principale e suo ultimo prima di morire.
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