Border, di Ali Abbasi , 2018. Premio "Un Certain regard" a Cannes 2018
Un fantasy/thriller/horror dal passo lento , troppo goffo per affascinare con il mito, coinvolgere col mistero o spaventare con il mostruoso.
Ci sono due trolls in un mondo di umani e tanto dovrebbe bastare per imbastire il consueto pippone sulle problematiche relative alla diversità , all'intolleranza e all'emarginazione. Come se ormai il 90% dei fims in circolazione non trattasse ossessivamente lo stesso tema. E qui va già subito a farsi benedire l'originalità. Rimane la modalità di svolgimento del tema e qui sia Abbasi che il co-sceneggiatore Lindqvist tentano di sbizzarrirsi interpretando la mitologia nordica del troll a modo loro. Ma anche un fantasy non deve pigiare troppo sul pedale dell’improbabile. E Border lo fa, scadendo spesso nel ridicolo. Nonostante la predisposizione del pubblico alla "sospensione dell'incredulità" di fronte ad una "fiaba" , ad abusarne troppo si rischia di annoiare il pubblico.
E Border non riesce a stupire più di tanto.
La sotto-trama crime di caccia alla pedofilìa strizza l'occhio all'indignazione collaudata e sicura da parte del pubblico : gli umani sono i veri mostri, che fanno del male persino ai piccoli della propria razza.
Senonché Vore non si rivela molto migliore dei deprecabili umani. Anzi, senza voler fare troppo spoiler, la sua vendetta pare più crudele del danno subito.
Tina è il personaggio con cui dovremmo identificarci , la protagonista del percorso di scoperta della propria identità, dell'appropriazione e rivendicazione dell'appartenenza, perchè lei non è una donna deforme con un cromosoma difettoso, come le è stato fatto credere.
Ma davvero Tina ci guadagna qualcosa in questo percorso ? È una persona integrata, con un lavoro in cui eccelle grazie alle sue peculiari capacità , è amata dall'anziano padre, rispettata da vicini e colleghi proprio per la sua stranezza , nonostante la sua diversità. Ha un rapporto anomalo ed intenso con la natura (cani esclusi).
Certo le manca l'amore , la sua diversità anche fisiologica glielo impedisce.
Ci affascina l'incontro con Vore , individuo della stessa specie di Tina ma la poesia del contatto animalesco con la natura e dell'erotismo non umano sono una breve parentesi di gioia con un prezzo troppo alto da pagare.
Tina ha una morale che non comprende l'abuso sugli indifesi.
La scena finale con la valigia sul portico e il suo prezioso quanto impegnativo contenuto, compreso l'invito ad unirsi al gruppo di suoi simili in Finlandia non è vera catarsi e appare finale più "telefonato" che meditato.
Memore di quella perla di Lasciami entrare diretto da Alfredson e scritto da Lyndqvist mi aspettavo di più.
Memore di quella perla di Lasciami entrare diretto da Alfredson e scritto da Lyndqvist mi aspettavo di più.
Questo Border non ne ha la forza , meno che mai la poesia . È piatto , un indie che merita solo un grosso applauso alla brava Melander e all'ingegnoso trucco , quello sì riuscito.
Film pasticciato che si dimentica presto.
Io l'ho trovato invece decisamente poetico, e ne ho apprezzato il ritmo lento, "boschivo".
RispondiEliminaLento mi starebbe bene se fosse funzionale ad un film imbastito in modo meno grossolano. Troppi clichè abusati (pedofilìa, diversità, transgender) senza spessore o seria riflessione. Messi lì perchè attuali e attira-pubblico.
RispondiEliminaIl revanchismo arrabbiato (e criminale) di Vore non risolve molto , nè sembra piacere a Tina (lo denuncia,infatti).
Le scene di contatto armonioso con la natura sono la parte migliore. Ma in questo senso mi ha incantata più Halla nella "donna elettrica".